Domenica 15 Febbraio 2004 - Libertà
Sugar Kitty: trascinante classic jazz
MUNICIPALE. Ovazioni per l'orchestra diretta da Parmigiani e l'ospite Tofanelli alla tromba. Beethoven strizza l'occhio a Mancini. E l'arpa impera
Successo, l'altra sera, al Teatro Municipale per il concerto della stagione curata dalla Fondazione Arturo Toscanini che ha visto protagonista la Sugar-Kitty Big Band in Classic in blue. Il gruppo è nato dalle "ceneri" della New Sugar Kitty Band, fondata in precedenza dal maestro Giuseppe Parmigiani. L'ensemble è accolto da un folto pubblico che decreta, rendendo fin dall'inizio piena giustizia alla trascinante performance in chiave jazzistica di brani classici della storia della musica, ampi e ripetuti consensi, con applausi a scena aperta e ripetute ovazioni sul finale. E con la "Sugar-Kitty" è come se lo spettatore si trovasse in viaggio tra i ritmi e le atmosfere di New Orleans e incappasse, strada facendo, in incontri e luoghi forieri di contaminazioni di provenienza Sette-Ottocentesca. Musicalmente, il tutto è sostenuto dal rigoroso contrappunto degli arrangiamenti del maestro Parmigiani che, tuttavia, non costringe gli orchestrali "all'angolo" ma li intende spontaneamente coinvolti in quel gioco d'improvvisazioni su cui è strutturato il genere jazz. Un gioco frizzante che, nello stesso tempo, è però anche una questione molto seria. E lo si comprende dallo sforzo degli esecutori, fisico e mentale, visibile oltre recepibile all'orecchio. Sarà forse perché il jazz è un po' come attraversare la vita, guadare un fiume "inventando" i passi di volta in volta per muoversi in sintonia con la corrente. Così ha inizio la cascata di note che travolge il pubblico: si apre con un'incredibile Happy peasant di Schumann, si passa per i glissati arpistici che trapassano i contrappunti del Preludio numero 2 di Gershwin, con un'incredibile Ester Gattoni dal tocco talmente pieno da creare un dialogo di pari volume con l'intero gruppo di ottoni, senza scordare d'interpretare con grazia e un pizzico di sensualità le armonie "blue". Si capisce definitivamente che Parmigiani è un "grande" quando le prime battute di Per Elisa di Beethoven strizzano l'occhiolino ad Henry Mancini, grazie anche al perfezionismo elegante del pianista Erminio Cella e all'assolo dello special guest della serata, il virtuoso - e applauditissimo - trombettista Andrea Tofanelli. Dunque, spazio alle linee armoniche più umbratili e meno tonali di Debussy. Di quest'ultimo, l'ensemble regala due interpretazioni in perfetto stile jazz-band, che risuonano tuttavia molto originali: The little negro e l'obliqua Prémiere arabesque, sulle quali svettano oltre alle improvvisazioni dello stesso Parmigiani (al sax alto ed altri fiati), le stupefacenti ritmiche di Gianni Azzali, un talento che ci invidierebbero anche dall'altra parte dell'Atlantico. Molto caratteristiche anche le versioni del Träumerei e The first loss, opere di un musicista le cui melodie si elevano, da sempre, su toni prettamente romantici: Robert Schumann. Si prosegue con la scaletta: un Sogno d'amore di Liszt che strappa applausi ancor prima di terminare, poi Rameau e una Marcia turca del grande Amadeus, in cui le scale arabe s'incrociano con le regole dell'armonia settecentesca e il cromatismo jazz. La band è vitale, galoppante: tutti bravissimi. In prima linea Simone Zanacchi al sax alto e clarinetto, Andrea Zermani al sax tenore e clarinetto e Giuliano Cerioli al sax baritono. Poi la squillante fila di trombe con Roberto Villani, Mauro Ferrari, Mauro Pilla e Carlo Rossetti e i trombonisti Silvio Malinverno, Claudio Barbieri, Francesco Castelletti e Alfredo Migliavacca. Un gruppo nato dall'incontro di ottimi musicisti-sperimentatori che sanno fondere, in una sintesi originale, moduli ritmici e timbrici propri di strumenti estremamente affascinanti. Il linguaggio del progetto della Sugar-Kitty Big Band è, del resto, quello di un dialogo corale, in un'improvvisazione collettiva che evoca culture classiche in una concezione moderna della potenza e delle ritmiche del suono. Gli strumenti e il percorso di ricerca degli arrangiamenti - ma anche quello che emerge dall'esecuzione dei singoli musicisti - rappresentano un vero e proprio ponte tra le culture: dalle impetuose scarnosità di origine africana ai suoni delle armonie più "alte". Dall'etnomusicologia alla lunga storia musicale dei secoli dopo Cristo e fino alla modernità, di cui il jazz fa parte in modo altrettanto colto e a ragion veduta. La giostra acustica degli ottoni scintilla, l'arpa di Ester Gattoni impera e s'impone in primo piano nel bis finale, Greensleves. Su tutto s'intrecciano le frasi delle "percussioni parlanti" (ai tamburi Fabio Villaggi condivide, con classe e vigore, la sezione ritmica con Giulio Bavarelli al basso elettrico e qualche incursione del chitarrista Giorgio Gabrieli, che dona anche parecchi frammenti solistici), divenendo a tratti ritmo energico, melodia e suono naturale e appassionante. Il jazz entra in teatro, lunga vita al jazz!
Eleonora Bagarotti