Fondazione di Piacenza e Vigevano Stampa
  Rassegna Stampa
spazio
  Comunicati Stampa
spazio
  Eventi Auditorium Piacenza
spazio
  Eventi Auditorium Vigevano
spazio
  Comunicazione
spazio

 
Home Page     Rassegna Stampa   


Venerdì 29 Aprile 2005 - Libertà

Fornari, mea culpa sulla guerra

Convegno nazionale - Oggi e domani Piacenza rende omaggio ad un suo illustre figlio a venti anni dalla scomparsa. Intervista inedita - Rilasciata a "La Gazette littéraire" poco prima di morire. È il suo testamento. "È un delitto individuale, una violenza privata"

Riportare la guerra alla nozione di delitto individuale. Se non per sopprimerla, almeno per toglierle ogni giustificazione storica. Ecco il pensiero di Franco Fornari in un'intervista inedita in Italia rilasciata a "La Gazette littéraire" poco prima di morire. E' il suo testamento.
Professore lei ha scritto un libro quasi scandaloso in cui denunciava la guerra non nel Vietnam ma in ciascuno di noi. Qual è l'essenziale della sua tesi?
"La psicanalisi ci rende responsabili non solo dei nostri atti, ma anche, in certa misura, del nostro inconscio e dei nostri sogni. Fanon parla di quelle tribù primitive per le quali se un uomo sognava di tradire la moglie con quella di un altro,doveva il giorno dopo andare dal marito, con un regalo, per confessare e farsi perdonare. Così dunque le popolazioni primitive si rendevano responsabili del loro inconscio. È studiando i meccanismi della loro psiche che sono arrivato alla conclusione che - contrariamente a ciò che si era creduto per molto tempo - la guerra, lungi dall'obbedire a dei moventi di ordine economico, demografico, o di rapina, obbediva al bisogno di portare il lutto nel campo avversario. Quando qualcuno muore, ciascuno di noi si sente colpevole di quella morte. Questa idea ci è proprio insopportabile. Facciamo di tutto per eluderla. Ora io ho scoperto che le popolazioni primitive obbedivano a questi stessi moventi, cercavano di far portare alla tribù nemica il peso di questa colpevolezza troppo pesante. Significa, cioè, che portavano la morte nel campo avversario. L'idea di essere la causa di distruzione era per loro altamente intollerabile che cercavano di scaricarne la colpa su altri".
Un modo per estrapolare?
"Oppure di inventare la colpa dell'altro per sfuggire all'angoscia; quando il bambino perde il seno di sua madre dopo aver poppato, può pensare che ha perso il seno perché lo ha mangiato. È la nozione del peccato originale. L'uomo è sempre stato ossessionato dalla paura di aver distrutto ciò che ama".
Se ho ben capito, lei pensa che, contrariamente alle teorie antiche che volevano vedere nella guerra la manifestazione di un bisogno di conquista e di potere, e contrariamente a Freud che parlava di una volontà di distruzione diretta all'origine contro il padre, quindi in rapporto con la sessualità e i problemi di impotenza, lei vede nella guerra il semplice bisogno di mettere al nemico un volto che è in noi, di proiettare il nemico fuori di noi per scaricare su di lui la nostra angoscia?
"Esatto. Io vedo la guerra come un'istituzione sociale destinata a curare dalle angoscie paranoiche o depressive esistenti in una proporzione più o meno grande, e in un modo più o meno superato, in ciascuno di noi. In altre parole, vedo l'uomo come un iceberg che ha coscienza solo della parte apparente e razionale di se stesso, e che nega tutta la parte immersa, la più importante forse. Direi che le scoperte della psicanalisi ci hanno permesso di vedere che ciascun individuo è personalmente responsabile della guerra. Essa corrisponde ad una violenza primitiva legata al nostro complesso di colpa".
Dunque lei pensa che attraverso una presa di coscienza di ogni individuo si potrebbe arrivare a sopprimere la guerra? Non le pare troppo bello? E un po' troppo utopico?
"Non credo che si possa sopprimere la guerra, non più di quanto si possa sopprimere l'omicidio. Ma attraverso questa presa di coscienza, è l'istituzione stessa della guerra che perderà i suoi fondamenti. Un tempo la guerra aveva una giustificazione storica certa: c'era un vincente, un perdente. All'epoca della bomba atomica, nessuno può più pretendere di "guadagnare". È la distruzione totale".
Lei crede alle ragioni economiche, ad una necessità industriale?
"Delle inchieste molto serie hanno provato che questa motivazione era falsa, o per lo meno superficiale. L'uomo potrebbe investire i suoi capitali in mille altre industrie. Kennedy era stato uno dei primi a capirlo".
Allora perché questa ostinazione?
"Precisamente perché l'uomo non può valutare in termini realistici la situazione atomica. Cercherò di essere più preciso. Lei sa che l'anno 1000 ha conosciuto ciò che è stato definito "un delirio collettivo della fine del mondo". Col senno di poi, noi possiamo considerare obiettivamente questa manifestazione come un delirio, visto che il mondo non è finito in quel momento. Ma oggi, se un malato mi viene a trovare e mi confessa la sua angoscia dinanzi la fine del mondo, posso ancora ragionevolmente parlare di delirio? Quando Einstein lancia nel suo testamento delle profezie tragiche sull'avvenire, si può parlare di delirio? Chi sa se non è proprio colui che ha paura attualmente il più sano tra tutti noi? E se fossero i "padri tranquilli", i calmi, ad essere malati? La follia, oggi, è forse il "non aver paura". Alcuni psichiatri americani hanno sostenuto questa tesi! Preoccuparsi delle conseguenze di una situazione è - nessuno lo può contestare - un dovere dell'uomo in quanto animale intelligente. Ora nei fatti, che cosa succede? L'angoscia in cui ci immerge la situazione attuale, la nostra paura di perdere tutto, ci spinge esattamente ad aggrapparci alle vecchie strutture, alle antiche forme di pensiero. Più si ha paura, più ci si aggrappa, è risaputo! È stato rilevato che durante la guerra i bambini che erano in braccio alle loro mamme, erano calmi durante i bombardamenti. Il pericolo era lo stesso, ma essi erano calmi. Così l'essere umano, davanti al pericolo che lo minaccia, regredisce e gioca a fare il bambino. Si rifugia nelle braccia di sua madre, cioè nella religione o nel marxismo, per non vedere. È l'aspetto patetico della situazione. La bomba atomica implica il più grande cambiamento di attitudine che l'uomo abbia dovuto affrontare forse fino ad ora. Essa dovrebbe far coincidere l'etica dello Stato con quella dell'individuo. Non è rifugiandomi nelle braccia di mia madre che risolverò questo problema".
Praticamente, quale soluzione lei vedrebbe?
"Denunciare giuridicamente, legalmente, l'istituzione della guerra, che non può più significare soluzione, ma soltanto distruzione. E riportare la nozione di guerra ad una nozione di delitto individuale. Mi spiego: sul piano personale, io posso avere un rivale di cui voglio sbarazzarmi. Posso sperare la sua morte. Ma se di fatto io lo uccido, mi trovo di fronte al codice penale. Sarò punito. Ora sul piano collettivo - militare e politico - improvvisamente non sono più colpevole. Al contrario, mi si paga, mi si decora, mi si ammira. Vi è, su questo piano, una contraddizione insopportabile per coscienza umana. Se si considera, in compenso, che la guerra è in ciascuno di noi, la si giudicherà come un omicidio, in funzione del nostro bisogno di violenza. Allora le applicheremo il codice penale. È sorprendente vedere fino a che punto c'è corrispondenza tra il codice penale e l'inconscio".

(Tratto da La Gazette littéraire,
19 febbraio 1987)
Traduzione di Cinzia Sciancalepore

MADELEINE SANTSCHI

Torna all'elenco | Versione stampabile

spazio
spazio spazio spazio
spazio spazio spazio