Giovedì 3 Novembre 2005 - Libertà
Intervista all'inviato di Repubblica che stasera sarà ospite di "Testimoni del tempo"
Valli: «Serve un giornalismo leale»
Informare non è un'arte è un lavoro di artigianato
Oggi alle 21 il giornalista Bernardo Valli sarà ospite della rassegna I testimoni del tempo: teatro del primo incontro in programma per l'edizione 2005 dell'iniziativa sarà come di consueto la Fondazione di Piacenza e Vigevano. In attesa di ascoltare le parole di Valli in seno al suo intervento intitolato "Il mondo in tasca", abbiamo raggiunto telefonicamente l'autorevole giornalista per porgli alcune domande.
La prima domanda che non posso esimermi dal fare ad un professionista del suo calibro è persino scontata: che cos'è a suo avviso il giornalismo?
«Il giornalismo non è un'arte e neppure una scienza: è un'artigianato. E' come costruire una seggiola: la si può costruire bene o male, ma rimane come dato ineliminabile il fatto che essa ha un'evidente utilità pratica. Lo stesso vale per il giornalismo: come una sedia, appunto, esso ha una funzione concreta e fondamentale ed è quella di informare; più è ben fatto, più il livello dell'informazione sarà degno di nota».
Già, informare; ultimamente a questo proposito si parla molto di libertà di espressione e stampa e di (supposte) sue limitazioni?
«Soprattutto in un contesto mediatico come il nostro, così capillare e potente, la libertà di stampa è una cosa essenziale, è fondamentale così come l'aria che si respira. E' necessario fare in modo che il giornalismo sia leale e sincero, sia rispetto all'esterno, sia in relazione a se stesso. Al proposito è ad esempio mio parere che sia dovere del giornalista quello di aggiornarsi e di avere eventualmente il coraggio di smentirsi. Il giornalismo è infatti legato al presente; pertanto, se in un secondo momento ci si accorge che la prima posizione assunta su un fatto non può essere più sostenibile, se ci si rende conto di aver sbagliato, occorre avere l'umiltà e l'onestà di ammetterlo».
Cosa pensa dell'incontro dell'altro giorno tra il Presidente Bush ed il premier Berlusconi?
«C'è poco da pensare: ricordo personalmente di aver sentito più volte Berlusconi dichiarare di essere "perfettamente d'accordo con il presidente degli Stati Uniti" (riporto esattamente le parole del Capo del Governo), ma oggi improvvisamente sembra essersene dimenticato. Chiaramente c'è dietro una strategia elettorale: Berlusconi sa infatti bene che l'opinione pubblica non è favorevole alla guerra, dunque sta giocando determinate carte. In linea generale comunque, è risaputo che Berlusconi ha la brutta abitudine di dare sempre ragione a Bush, senza curarsi poi del fatto che si smentisce continuamente».
Qualche giorno fa è comparso su Repubblica un suo pezzo nel quale raccontava delle elezioni in Iraq e del suo essere partito da Baghdad appena prima dell'attentato all'albergo Palestine. Che atmosfera si respira oggi laggiù?
«Quello di Baghdad è un ambiente molto claustrofobico: non si può uscire dagli alberghi, ci si sente addosso lo sguardo pesante di chi soffre le brutture della guerra giorno per giorno e sembra chiederti perché mai tu sia lì. Le regole sono fisse e chi sgarra paga: ogni giornalista è un obbiettivo appetitoso (in vista del riscatto), e così chi si ferma per più di tre o quattro ore in uno steso posto sostanzialmente firma il suo rapimento: basti pensare a quanto è accaduto a Giuliana Sgrena o a Florence Aubenas».
Che consiglio si sentirebbe di dare a chi volesse intraprendere la carriera giornalistica?
«Molte volte ho maledetto il mio mestiere! Ma senza dubbio so che lo rifarei, perché alla fine è una professione davvero molto bella. Ti permette di conoscere il mondo e poco importa che sia giornalismo locale o internazionale, non sono i confini a contare, ma il testimoniare. Il nostro è senza dubbio un lavoro di grande responsabilità. I consigli pratici? Bisogna saper scrivere, mettercela tutta ed essere anche un po'
sfacciati!».
Salvatore Mortilla