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Venerdì 11 Novembre 2005 - Libertà

Rivolta, un'intensa Apologia di Socrate

In Fondazione come in un tribunale dell'antichità, splendida prova dell'attore

Piacenza - Atene: 399 a. C.: Socrate, accusato pubblicamente dai suoi detrattori, il poeta Meleto in prima fila, di "empietà", ovvero di corrompere i giovani e di non credere agli Dei patri, pronuncia la sua celebre orazione di autodifesa, quell'Apologia pervenutaci attraverso gli scritti del suo giovane, all'epoca solo ventottenne, allievo Platone, inscenata ed interpretata dall'attore e regista Carlo Rivolta, ospite in Fondazione.
L'antico padre della filosofia classica accetta infine con superiore serenità, l'ipocrita e faziosa condanna a morte decretata dall'assemblea giudicante, conscio di aver sempre seguito quella voce interiore che lo spingeva ad interrogarsi, all'introspezione ed alla scoperta del sé (conosci te stesso, recitava l'iscrizione scolpita nel frontone del tempio di Delfi, l'unica divinità, forse, verso la quale Socrate rivolse la propria fede), sino alla consapevole certezza di una endemica insufficienza e superficialità dell'umana conoscenza, quell'«Io so di non sapere» che costituiva il fulcro, il nucleo fondante dei suoi insegnamenti. Eppure, mai come l'altra sera, il protagonista del dialogo platonico, imprescindibile baluardo del pensiero e della cultura occidentale, strenuo difensore di una libertà personale che si fa al contempo civile e politica, è parso così attuale. Registrando il tutto esaurito (spettatori in piedi che affollavano gli spalti, l'ingresso e le nicchie laterali della sala conferenze di via Sant'Eufemia), la serata, patrocinata dalla Banca di Piacenza, si è aperta con il brillante intervento introduttivo di Vito Neri, che ne ha illustrato le ragioni e le finalità, ossia la celebrazione ed insieme commemorazione, nel "Giorno della libertà", dell'abbattimento del Muro di Berlino.
Libero, ed al contempo intimamente rispettoso, adattamento alla traduzione italiana di Giovanni Reale, ordinario di Storia della filosofia antica alla Cattolica di Milano, l'Apologia di Socrate di Rivolta costituisce il primo quadro drammaturgico di una tetralogia (comprendente anche Critone, Fedone e Simposio) volta ad introdurre il pubblico alla dialettica socratica, indispensabile strumento d'indagine e conoscenza, meccanismo destabilizzante mai fine a se stesso, che, non di rado, avvalendosi di una velata, sardonica ironia, riesce a sovvertire anche i più rigidi capisaldi, le cosiddette sovrastrutture ideologiche, su cui poggia lo Stato ateniese.
Scenografia assente, sapido gioco di luci e la sua sola voce, pastosa, roca, coniugata ad una gestualità misurata ma di grande effetto, sono gli unici elementi a disposizione dell'interprete, che, tuttavia, riesce a rievocare a dispetto della scarna esiguità del mezzo scenico l'illusione di trovarci realmente in un tribunale dell'antichità, noi complici silenziosi di una condanna ingiusta, ignavi dormienti che temono il risvegliarsi della voce della coscienza. Rivolta incede fra il pubblico, interroga, arringa, persuade, controbatte alle calunnie, ci fulmina con strali di illuminante verità, attualizzando il messaggio socratico nel dinamico contrasto dialettico instaurato fra attore e spettatore, al quale è concretamente indirizzato l'invito più alto e significativo del maestro ateniese, che, rivolgendosi ai propri discepoli, ai quali affida i figli dopo la sentenza mortale, dice: «Strappate loro la maschera, perché credono di essere e invece sembrano soltanto».

Alessandra Gregori

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