Venerdì 25 Novembre 2005 - Libertà
L'auditorium della Fondazione stracolmo di gente: il giornalista-scrittore ha parlato anche del suo libro "Sconosciuto 1945"
Il giornalismo dallo spirito indomito
Giampaolo Pansa da 40 anni osservatore della politica
Da un incontro con Giampaolo
Pansa, lo si sa, è in fin dei conti lecito aspettarsi di tutto:
non a caso egli ama definirsi "un cane sciolto", in questo modo ben
esplicitando il suo fermo proposito di non lasciarsi cristallizzare
all'interno di alcuna formula precostituita, parlando a ruota
libera, senza censura alcuna. E detto suo tratto distintivo bene lo
hanno ravvisato i numerosi presenti ieri sera all'auditorium
Sant'Eufemia, del quale Pansa è stato gradito ospite. La serata è
stata occasione per presentare l'ultimo libro dello
scrittore-giornalista piemontese intitolato Sconosciuto 1945
e si è inserita nell'ambito degli incontri della rassegna
2005/2006 de I testimoni del tempo, iniziativa curata da
Eugenio Gazzola e promossa dall'assessorato alla cultura del
Comune di Piacenza e dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano. Hanno
introdotto la serata gli interventi del curatore dell'iniziativa e
dell'assessore Alberto Squeri; moderatore dell'incontro è
invece stato il direttore di Libertà Gaetano Rizzuto.
Dopo
l'applauso che, spontaneo e fragoroso, ha accolto l'ingresso di
Pansa in sala, dopo le parole introduttive, Rizzuto ha tratteggiato
un breve profilo del giornalista piemontese, suo collega e, per
ammissione di entrambi, amico di vecchia data: «Pansa è
indubbiamente un importantissimo testimone degli ultimi quarant'anni
della storia politica italiana; in ambito giornalistico, egli è
ufficialmente riconosciuto come un maestro e tutti sanno bene cosa
si intenda per "stile Pansa": si tratta di un modo molto particolare
di fare inchieste e interviste che, come appunto fa Giampaolo,
consiste nello scrivere con spirito indomito e libero, talvolta
incline ad un tono di goliardica critica (pungente ma costruttiva)
che ad esempio Pansa esprime ogni settimana su l'Espresso, nel suo
"Bestiario"».
La prima parte della serata si è a questo punto
concentrata sul riferimento all'ultimo libro da Pansa pubblicato
proprio quest'anno: Sconosciuto 1945, un libro nel quale il
giornalista si è riproposto di raccontare la storia della guerra
civile in Italia all'indomani della disfatta fascista, appunto dando
voce ai vinti. Primo quesito: perché queste due pubblicazioni?. «Il
mio intento - ha risposto Pansa - era quello di dare ascolto a
quelle migliaia di fascisti uccisi da altrettanti partigiani o
presunti tali; volevo che quanti hanno subito gli orrori della
guerra civile perché figli di chi incarnava la parte dei vinti
potessero trovare un modo per esprimere il proprio dolore. Non si
può pensare di raccontare la storia d'Italia come se il Fascismo e i
fascisti non ci fossero stati: non si può parlare solo dei
partigiani». Ha precisato il giornalista: «Con i miei due ultimi
libri volevo che i morti non rimanessero sconosciuti (come dice il
titolo della mia ultima pubblicazione); è questo non c'entra nulla
col revisionismo. Tra l'altro, Sconosciuo 1945 non è un
titolo casuale, ma riprende la scritta che campeggiava sul corpo dei
cadaveri dei fascisti che erano stati sepolti nelle fosse comuni di
Milano: gente spogliata dei documenti e degli effetti personali e
che, in assenza di altre identificazioni valide a stabilirne
l'identità, veniva appunto segnalata come sconosciuta».
«Quando
sono nati - ha incalzato Gaetano Rizzuto - questi ultimi tuoi
lavori? L'obbiettivo era quello di dare voce agli sconosciuti
appunto, ma perché proprio oggi?». «Se proprio devo individuare - ha
quindi ribattuto Pansa - il momento che ha suscitato in me
l'esigenza di prendere in esame i fatti di cui di cui si parla,
posso ricordare il momento in cui si affermò il governo
Berlusconi: allora la sinistra lamentò l'inizio di un'era di
dittatura, istituendo un parallelismo scoperto tra Berlusconi e
Mussolini. Ora, premesso che ho sempre criticato Berlusconi e
che non mi piace, questa paura era davvero infondata. Ecco perché ho
iniziato a scrivere: per reagire al modo infelice di tanta sinistra
di raccontare la storia odierna e di intendere quella passata, in
ispecie quella della guerra civile vissuta dal nostro paese
all'indomani della guerra».
Salvatore Mortilla