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Giovedì 15 Dicembre 2005 - Libertà

Il ricordo del saggista e critico che con l'editor e scrittrice fondò la rivista "Quaderni Piacentini"

Fofi: con Grazia un dialogo continuo
«Lavorare con la Cherchi è stato estremamente stimolante»

Goffredo Fofi, assieme a Grazia Cherchi e a Piergiorgio Bellocchio tra i fondatori della rivista Quaderni piacentini, è nato a Gubbio nel 1937 ed è oggi unanimemente ritenuto una delle personalità più attive e combattive del panorama culturale italiano.
Attualmente direttore della rivista Lo straniero, Fofi si occupa anche di editoria: per sua iniziativa le Edizioni Linea d'ombra e la collana Piccola Biblioteca Morale delle Edizioni E/O hanno infatti rimesso in circolazione testi di grande importanza trascurati dai circuiti librari di più ampio respiro. Saggista, critico teatrale e cinematografico, oltre che disincantato osservatore politico, Fofi si è spesso dimostrato un apripista, riuscendo a cogliere in tempi non sospetti stili, tendenze e autori canonizzati successivamente (e spesso con colpevole ritardo) dalla cultura ufficiale.
L'intellettuale sarà ospite di Piacenza questa sera all'auditorium Sant'Eufemia della Fondazione di Piacenza e Vigevano; in attesa di ascoltare le sue stesse parole in detta occasione, ci ha concesso una gentile intervista.
Se dovesse trovare un'espressione, una massima, come definirebbe l'esperienza dei "Quaderni piacentini"?
«Un episodio di cultura critica in un'epoca confusa, di cui si riuscivano a capire solo in parte le tendenze più profonde. Su molte cose avevamo ragione, su molte credevamo di avere ragione».
Che ricordo conserva di Grazia Cherchi in seno a quell'esperienza? Che tipo di rapporto professionale si instaurò tra di voi? Com'era lavorare con lei?
«Grazia era l'anima della rivista, il perno organizzativo e affettivo. Non si è mai trattato tra noi di un "rapporto professionale", ma di un dialogo assiduo che riguardava la rivista ma anche cento altre cose. Lavorare con lei era estremamente stimolante perché in continuazione ci si passavano informazioni, pareri consigli, e si mettevano in comune le conoscenze ma anche le amicizie. Ci sono stati alti e bassi, naturalmente, legati al "pubblico" e non al "privato", perché all'interno della rivista c'erano più linee e non sempre io e lei parteggiavamo per la stessa. Ma questo non ha inficiato mai la tensione affettiva e la reciproca fiducia. Non va dimenticato che contemporaneamente ai Quaderni piacentini io, come gli altri, facevo anche altre cose e addirittura altre riviste, per esempio Ombre rosse, molto più "dentro il movimento" e meno "critica". E per i sei anni che io mi trasferii a Napoli a occuparmi di nuovo - finalmente! - non solo di "cultura" ma di educazione, che era stato il mio primo interesse, di bambini e di lotte di quartiere, i rapporti furono intermittenti, anche se sempre assidui. L'unico punto vero di crisi ci fu quando fondai la rivista La terra vista dalla luna, dedicata al mondo del cosiddetto volontariato, che definivamo "rivista dell'intervento sociale". Non le piacque, come ad altri amici troppo "culturali" dei Quaderni, e non tollerò che in un'intervista dicessi che "la sinistra era morta" e bisognava ricominciare con altri modi. Affettiva com'era, la sinistra per lei era una rete di amicizie e contatti, un'entità concreta e sentimentale molto più che un'entità "politica"».
Che importanza ha avuto nella sua formazione e affermazione successiva la sua personale partecipazione ai "Quaderni"?
«Grandissima, anche se non la centrale. Furono più importanti altre esperienze legate ad attività concreta, a Sud come a Nord, tra i contadini prima e i sottoproletari della provincia di Palermo, e poi vicino agli operai torinesi. Culturalmente, ho imparato dai Quaderni un sacco di cose, ma sono sempre rimasto un empirico e, in qualche modo, un superficiale; anche se, alla lunga, credo di aver capito per tempo più cose di certi amici intellettualmente più ferrati di me,
infinitamente più ferrati?».
Grazia Cherchi era molto attenta alle iniziative delle case editrici più piccole. Lei come vede (peraltro in quanto importante protagonista di esperienze editoriali alternative) l'attuale situazione di queste case? Hanno esse modo di sopravvivere o rischiano piuttosto di essere stritolate dai grandi circuiti della distribuzione editoriale?
«Ce ne sono tante che nascono e muoiono, nonostante tutto siamo un paese ancora molto ricco, e che produce sempre più intellettuali e, diceva Elsa Morante, tantissimi "scriventi" e pochi veri scrittori. E' cambiato che si è oggi assediati e frastornati da un sistema dei media
capillarmente aggressivo, nel quale le iniziative serie - e ci sono - fanno molta fatica a farsi riconoscere e apprezzare. Ogni anno, in ogni caso, nascono tanti talenti - è perfino fisiologico che sia così - e di giovani validi ne spuntano tanti, il problema sono invece gli adulti,
il "sistema" in cui vengono accolti. E corrotti o avviliti».
Cosa le rimane oggi della Cherchi, della sua amicizia e del vostro sodalizio professionale?
«Una grandissima nostalgia, e il rimpianto per le cose che si sarebbe potuto ancora fare, insieme e con tanti. E le ho perdonato da tempo i suoi "difetti" così come lei perdonava subito i miei. Per esempio, quello di aver creduto troppo, nei suoi ultimi anni, nell'industria
culturale e nel ruolo che avrebbe potuto giocare al suo interno».

Salvatore Mortilla

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