Venerdì 16 Dicembre 2005 - Libertà
Ieri in Fondazione Gianni Riotta e Goffredo Fofi hanno ricordato la figura della scrittrice Grazia Cherchi, scopritrice di talenti
Pampaloni la definì "Zarina delle lettere italiane"
Bell'incontro ieri sera nell'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano alla presenza del vicedirettore del Corriere della Sera Gianni Riotta e del critico e saggista Goffredo Fofi; occasione della serata è stato il ricordo di Grazia Cherchi: notevole intellettuale piacentina, purtroppo venuta a mancare dieci anni fa, eppure ancora vivissima nel ricordo dei suoi collaboratori, degli amici e degli amati scrittori che lei stessa appoggiò con fiducia incondizionata per tutta la vita. Oltre agli ospiti sono intervenuti il professor Fabio Milana del liceo Gioia (attento moderatore della serata) e la nipote della Cherchi, Stefania.
Nel rispetto di una scelta emozionante oltre che intelligente degli organizzatori dell'incontro, ha aperto la serata la proiezione di un'intervista di Grazia Cherchi, rilasciata negli ultimi anni della sua vita. Ne è emerso il ritratto di una donna straordinaria nel suo essere immensamente semplice, diretta, quasi disarmante nelle sue risposte lucide e precise, prive di orpelli: vere. Tratti questi veicolati dal video proiettato, ma poi ripresi dagli interventi dei convenuti. Il primo intervento è stato quello di Gianni Riotta: «Innanzitutto vorrei ricordare la fondamentale importanza di Grazia Cherchi dal punto di vista professionale: lei fu senz'altro una delle prime in Italia a esercitare in modo davvero serio la professione di editor; professione questa che va affiancata inoltre a quella di critico, anch'essa da Grazia egregiamente svolta».
«La Cherchi - ha continuato Riotta - fu una grande intellettuale: a ragione Geno Pampaloni la definì "Zarina delle lettere italiane". Ma ciò che fa di Grazia una persona straordinaria è che questa cultura lei la mise a disposizione degli scrittori per cui faceva editing, scoprendo numerosi talenti, da Benni a Baricco, a Franceschini. Il lavoro di editing - ha detto il vicedirettore del Corriere - è una professione complessa che ben illustra come la scrittura e la lettura non siano atti gratuiti, ma al contrario lavori veri e propri, faticosi: non c'è illuminazione divina, ma lavoro artigianale, artistico, politico anche. Tutto questo riguarda la Cherchi editor, ma come dicevo prima, Grazia era anche critico, e al proposito mi sento di sollecitare la pubblicazione di una raccolta di scritti realizzata in modo filologico: sarebbe un tributo al mondo della cultura, oltre che alla memoria di Grazia. E se lo meriterebbe del resto - ha ulteriormente puntualizzato Riotta - perché Grazia era una persona estremamente generosa ed educata. Generosa nel suo voler scovare talenti e semenze feconde da donare ai posteri; amante delle buone maniere per quel suo senso innato del buon vivere, meglio, convivere, che incarnava col suo essere e la cui negazione ritraeva con acume sull'Unità di ogni lunedì nella rubrica "Un po' per celia"».
Ha seguito l'intervento di Gianni Riotta la lettura di un intervento di Grazia Cherchi pronunciato nel' 1988 al Salone del libro di Torino, ove l'intellettuale piacentina, con la consueta verve e semplicità di toni, tratteggiava pregi e difetti della sua professione di editor: il tono è inconfondibile: lucido, minimale, persino secco a tratti. «Del resto Grazia era persona con la quale intrattenere lunghe e cordiali litigate - ha appuntato al proposito Goffredo Fofi, critico e saggista, tra i fondatori dei Quaderni Piacentini - ricordo battibecchi molto lunghi (che la fine portavamo avanti anche un po' per gioco)! Ma ricordo anche l'immensa generosità di Grazia, il suo amore per il sapere, il suo essere intellettualmente curiosa. La nostra amicizia non si esuarì coi Quaderni, anche se certo quell'esperienza fu fondamentale. Io poi ampliai il mio ambito di indagine nel sociale, lei continuò sul versante intellettuale. Amava gli intellettuali, l'arte del ben pensare; io invece sono sempre stato più per il ben fare, e su questo punto abbiamo litigato spesso».
Salvatore Mortilla