Giovedì 2 Febbraio 2006 - Libertà
Così il regime fascista spiava i suoi nemici
La delazione come strumento di controllo: conferenza dello storico Mauro Canali
Il sistema repressivo fascista è stato al centro, all'auditorium della Fondazione, della conferenza di Mauro Canali, professore ordinario di storia contemporanea all'università di Camerino e autore di Le spie del regime (Il Mulino).
Nel libro, che alla sua uscita ha suscitato anche vivaci contestazioni, lo storico cerca di dimostrare «la capacità del fascismo di piegare gli oppositori fino alla delazione o di indurli a stabilire una tregua privata con il regime». Nella serata, coordinata da Claudio Oltremonti, ricercatore di storia piacentina, Canali ha spiegato come lo stato di polizia instaurato dal fascismo non sia sorto dal nulla. «C'è una continuità con il regime liberale giolittiano, che si era già posto il problema dell'opposizione. Il fascismo non inventa nulla, ma amplifica e perfeziona».
Cambia l'oggetto dei capillari controlli: «Per il regime liberale gli avversari da sorvegliare erano principalmente gli anarchici, seguiti dai socialisti rivoluzionari. Per il regime fascista sono tutti gli antifascisti, con particolare attenzione al movimento comunista». Tra gli elementi comuni ai due regimi, il confino politico che nell'età giolittiana si chiamava domicilio coatto. «La logica è la stessa, ma il fascismo usa in modo più massiccio lo strumento, comminabile come sanzione amministrativa, dunque utilizzato anche nei casi in cui la polizia non riusciva a costruire un apparato accusatorio adeguato a portare l'oppositore davanti al tribunale speciale, oppure quando un processo avrebbe necessariamente comportato la testimonianza di spie, delle quali si sarebbe così dovuta rivelare l'identità».
Una data spartiacque è il novembre 1926, con l'emanazione delle leggi "fascistissime", con le quali tutti i partiti sono messi al bando, a parte ovviamente il partito nazionale fascista. E' l'inizio della dittatura del partito unico, che si pone il problema di come «tastare il polso al Paese. Nel momento stesso in cui non c'è opposizione evidente, la sospettosità è inevitabile». Canali ha evidenziato come dopo il 1926 «parlare di continuità con il regime liberale diventa un'audacia storiografica».
L'inizio della dittatura coincide con il varo della riforma del testo unico di pubblica sicurezza. All'interno della divisione generale di pubblica sicurezza nasce la divisione polizia politica, che ha nell'Ovra il suo braccio operativo sul territorio. «La delazione fu un fenomeno estesissimo. Dopo il 1932-'33 l'Ovra subisce una mutazione genetica: l'obiettivo si sposta dalla lotta al comunismo al monitoraggio degli umori del Paese». Tra gli ambienti che vengono da subito infiltrati: i giornali, alcuni ambiti professionali, il sindacato fascista e la milizia volontaria della sicurezza nazionale. L'Ovra intrattiene rapporti di collaborazione con i servizi segreti militari: «Il fascismo riesce a sovrapporre il suo mito a quello della nazione; chi è nemico del fascismo diventa nemico della nazione».
Piacenza rientra nella sottozona di Parma, che fa parte della seconda zona dell'Ovra (Emilia-Romagna e Marche). «Solo dal 1937 al '39 Piacenza diventerà sottozona. Di fiduciari (cioè spie) piacentini ne ho identificati pochissimi, tre o quattro. E' curioso come invece i fiduciari della questura siano tanti, circa 35, con una buona presenza di donne nell'attività spionistica. Il controllo non è tanto sull'antifascismo militante, ma sul territorio».
an.ans.