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Venerdì 21 Aprile 2006 - Libertà

Intervista al docente ospite ieri sera della Fondazione di Piacenza e Vigevano

«La filosofia, il gioco dei perché»
Salvatore Veca: la disciplina e i suoi risvolti politici

Ospite della Fondazione di Piacenza e Vigevano, il professor Salvatore Veca ha tenuto ieri sera un interessante incontro dal titolo A cosa serve la filosofia? Veca, preside della facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Pavia, ci ha concesso un'intervista nella quale ci ha parlato del fare filosofia, dell'attualità della disciplina e dei suoi risvolti politici nel contesto del difficile panorama offerto dal mondo odierno.
La prima domanda, banale ma credo non oziosa, è la solita: a cosa serve la filosofia?
«Su questo tema ho scritto un libretto divulgativo pochi anni fa (Salvatore Veca, Il giardino delle idee. Quattro passi nel mondo della filosofia, Frassinelli, Milano 2004), nel quale mi ponevo e ponevo al lettore la sua stessa domanda provocatoria? e la risposta era che la filosofia, senza che si richieda alla disciplina chissà quale funzione, ma senza neppure sminuirla, è il tentativo di trovare risposte a quelle domande che derivano dalle crepe originatesi tra ambiti diversi. Quello che potremmo definire come "il grande gioco dei perché", cioè appunto la filosofia, si origina proprio a partire da queste domande borderline tra terreni diversi. Entrano in gioco campi diversi del sapere, come ad esempio la scienza, la bioetica, la morale e l'etica, ed è come se un iceberg si scontrasse con un altro: qui interviene la filosofia e la sua funzione è quella di attutire lo scontro o comunque di renderlo significante».
Insomma è chiaro che la speculazione filosofica è meno distante dalla realtà di quanto si possa pensare. Mi sovviene al proposito quella sorta di manifesto che nel 2003 Habermas e Derrida scrissero a proposito del post 11 settembre e dell'eredità intellettuale dell'Europa illuminista. Sostanzialmente in quello scritto si intravedeva nell'Europa e più precisamente nell'Europa culla (ed erede) dell'Illuminismo, l'unica possibilità di salvezza dalla deriva fondamentalista che attualmente minaccia il mondo. Lei che posizione si sente di assumere al proposito?
«Credo che l'Illuminismo, pur con tutti i limiti che ne sono stati giustamente condannati, sia l'unica risorsa intellettuale che ci rimane. Rispetto alla così detta "Teoria critica" di intellettuali come Horkheimer e Adorno, che nella loro Dialettica dell'Illuminismo presero le distanze dalla ragione illuminista letta nella sua declinazione dominatrice, io sostengo il recupero dell'Illuminismo in una chiave per così dire minimale. La ragione a mio avviso non va divinizzata, ma bisogna riconoscere che nel bosco molto molto buio nel quale ci troviamo, essa costituisce una luce molto molto debole, ma della quale non possiamo permetterci di fare a meno».
Allora lasciamo che la ragione e con essa la speculazione intesa in senso lato faccia luce: quale può essere a suo avviso oggi, nel contesto storico-culturale nel quale ci troviamo il ruolo della filosofia? Come si relaziona la filosofia col problema così scottante dell'alterità ad esempio?
«La filosofia non può risolvere problemi come fa la fisica o la matematica, però può gettare luce su questi stessi problemi; può delineare un ritratto più perspicuo della nostra condizione. Questo per dire che di fronte ai problemi ai quali lei accenna, quali appunto l'alterità religiosa, etnica o culturale, la filosofia non può fornire soluzioni pratiche, ma può senz'altro orientare verso una chiarificazione del problema, una sua lettura più consona e dunque chiarificatrice, appunto».
A suo dire la filosofia è da intendersi come consolatio animae o piuttosto come damnatio animae? (penso a certo Leopardi ad esempio)?
«Sì? forse sarebbe meglio non pensare, ma credo che sarebbe impossibile. Per riprendere Leopardi, forse solo le bestie possono permetterselo, ma noi siamo esseri per natura portati a porci domande, dalle più elementari alle più complesse. Per avere una conferma di quanto sto dicendo basta osservare lo stupore con cui un bambino si pone di fronte ai perché di ogni giorno. Insomma, siamo animali filosofici, la filosofia è parte integrante del nostro essere».
Spesso la sensibilità contemporanea è tacciata di nichilismo, quindi di pessimismo? sto pensando a tanta parte della speculazione inerente il così detto postmodernismo ad esempio. Lei come si pone di fronte a questo problema, ammesso che lo sia?
«La morte delle grandi narrazioni che costituisce il cardine del postmodernismo filosofico si è accompagnata al nichilismo, è vero: ma occorre dire che esiste un nichilismo gaio ed uno triste. Dire che sono finiti i grandi racconti può pertanto causare un sentimento di tristezza e sconforto, ma anche la liberazione da una zavorra. Parlare di nichilismo e pessimismo in seno al postmodernismo diventa una questione molto difficile, perché c'è il rischio di non arrivare a nulla. Del resto credo di poter dire che il postmoderno ha avuto un significato importante in alcuni linguaggi dell'arte, ma non in altri ambiti, ad esempio in quello filosofico non credo che il suo apporto sia stato determinante».

di SALVATORE MORTILLA

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