Domenica 24 Settembre 2006 - Libertà
Piacenza "firma" la Carta dei diritti
Il saluto delle Nobel tra emozione e censura del nucleare
Madri della Terra Sulla protezione dell'infanzia violata si concentrano le testimonianze del primo summit. In preparazione un documento
Arrivederci, non addio, alle madri della terra. Cala il sipario al teatro municipale sui due giorni del summit per la pace. Ma le ondate benefiche propagate dalle loro parole, l'emozione fra i mille studenti seduti in platea e il desiderio risvegliato - ancora un po' indefinito, eppure forte - di far qualcosa, noi pure, osservatori non più neutrali di un grande disegno di pace, tutto questo resta.
Il contagio c'è stato. E mentre Betty Williams abbraccia amici e autorità con l'energia di una madre che rivede i figli dopo anni e l'autorevolezza di un "generale" e Rigoberta Menchù scioglie i lunghi capelli neri da regina Maya, mentre Jody Williams sfodera la tenacia politica dell'anti-militarista d'assalto (e bacchetta le «parole ignoranti del Papa»), chi ha partecipato a questi incontri eccezionali fa fatica ad andarsene dal Municipale, carico di energia come una pila galvanica.
Tra qualche giorno, annuncia l'assessore provinciale Mario Magnelli, verrà presentata la Carta di Piacenza per la pace, il documento su valori condivisi, elaborato dalle Nobel e che da una piccola città "aggancia" i grandi temi mondiali, il bisogno di convivenza e di dignità. Con l'ambizione di cucire insieme i suggerimenti amorevoli, la passione pacifista, la lucida capacità d'azione scaturita dal meeting delle donne attraverso il racconto delle loro vite. In questo bagno di pace, forse era utile scegliere dei filoni di discussione meno generici, ma il metodo di lavoro potrà essere affinato («Piacenza sarebbe contenta di avere qui altri summit» assicura l'assessore comunale Paolo Dosi). Così carismatici l'entusiasmo di Betty, l'empatia di Rigoberta, l'analisi impietosa di Jody, la saggezza orientale di Shirin che a segnare il vero volto del summit sono anzitutto questi profili umani prima delle parole pronunciate.
Il summit, nel concreto, ha impresso un'accelerazione al progetto della città dei bambini in Basilicata, dove doveva sorgere una discarica europea di scorie nucleari - come racconta Laura Kiss dei World Centers of Compassion - e ora si lavora attivamente per accogliere i piccoli in fuga dalle guerre, anche grazie all'appoggio delle istituzioni pubbliche. La partita tra Nazionale cantanti e Nazionale sindaci ha divertito - anche per lo squilibrio delle forze in campo e del "fiato" speso - ma soprattutto ha fatto crescere il gruzzolo necessario per dar gambe e muscoli al progetto nazionale e ad altri locali (50mila euro).
«Ci siamo interiormente arricchiti un po' tutti» tira le conclusioni dal palco del Teatro Vittorio Torrembini, vice-presidente della Fondazione Gorbaciov che ha organizzato l'evento in tempo record con Comune e Provincia. E ancora: «La casa è in costruzione, e forse al prossimo summit avremo anche il tetto».
In una città che l'Unicef riconosce come l'unica in Italia a sostegno dei bambini per le iniziative in Africa (Roberto Reggi) e che ha assessorati per le attività istituzionali per la pace (Gian Luigi Boiardi), in una provincia che contra tra le sue eroine suor Leonella, massacrata in Somalia, non è difficile immaginare che il seme lanciato dalle "madri" crescerà vigoroso.
Ieri c'è stata una convergenza su un tema in particolare: la protezione dei bambini dalle violenze, dallo sfruttamento lavorativo e sessuale, con il pensiero ai dieci milioni di orfani per Aids in Africa, ma non sono mancati giudizi politici trancianti. Più dell'Islam, già bacchettato dall'iraniana Shirin Ebadi, ne esce bastonato il mondo americano, la corsa agli armamenti e la catastrofica prospettiva di un'altra guerra preventiva contro l'Iran che punta al nucleare. Risuona la condanna nelle parole del "marine" pentito Scott Ritter, orgoglioso di essere americano e della sua Costituzione, ma anche tagliente sulla politica "a stelle e strisce" che porta «guerra e distruzione» e in quelle di Jody Williams che rievoca con immagini anche tragicamente poetiche Hiroshima, i devastanti effetti della scelta nucleare, avversata con forza pure da David Ives (Albert Schweitzer Institute) a nome del medico musicista e filosofo che per primo nel '57 attaccò i test.
Corrono nella sala del teatro non note musicali, ma le parole di cui tutti si ha paura: genocidio, odio razziale. E c'è un'assetata compensazione in altre parole: assenza di pregiudizio, voglia d'ascolto, compassione e soprattutto capacità di azione. E' questo il summit: un energico invito all'azione per valori in cui tutti sentiamo di credere. «Una persona che illumina anche un piccolo angolo è un patrimonio» dice la giapponese Gensei Ito (organizzazione umanitaria Asca). E Rigorberta Menchù invita ad aver fede negli altri, a vedere anche i più sofferenti non come «vittime» ma come «protagonisti». Che ci giudicano.
Pat.Sof.