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Mercoledì 2 Febbraio 2005 - Libertà

Quel pregiudizio anti-ebraico che sopravvive a tutto

Conferenza in Fondazione

Avarissimi usurai, malvagi consumatori di pane azzimo imbevuto del sangue dei cristiani, intelligentissimi manipolatori della politica mondiale, infidi cospiratori contro lo Stato (vedi il caso Dreyfus nella Francia di fine '800), usciti indenni in virtù di un'efficace rete di servizi segreti dall'attentato alle Torri Gemelli e infine responsabili, grazie a fantomatici esperimenti nucleari sottomarini, del terribile maremoto nel sud-est asiatico. Il pregiudizio antiebraico ha assunto nei secoli forme diverse, spesso tanto inverosimili da suscitare un sorriso verso l'ingenua credulità popolare che li alimentava. Eppure di quel razzismo sopravvivono all'alba del terzo millennio purtroppo ancora tante espressioni. Ieri in Fondazione Mauro Paganoni, docente dell'Università di Trieste, intervenuto al seminario "La memoria e oltre", al quale hanno partecipato numerosi studenti degli istituti superiori cittadini - ha parlato di "un fenomeno carsico" che si è manifestato in molti modi, fino alla miscela esplosiva messa in atto dal nazismo, e che continua ad emergere subdolamente. L'incontro, organizzato in collaborazione con la Comunità ebraica di Parma, nell'ambito delle riflessioni sulla Giornata della Memoria, è stato introdotto dalla preside del liceo "Respighi" Licia Gardella. Il tema era quello del pregiudizio, ieri e oggi, verso gli ebrei, espressione che Paganoni ha preferito utilizzare rispetto a quella più consueta di antisemitismo, in quanto quest'ultima "parola creata alla fine dell'800 per dare una patina di scientificità all'odio paranoico nei confronti degli ebrei". Certe accuse mosse ai discendenti delle tribù d'Israele datano da circa duemila anni. Se ne doveva già difendere - ha esemplificato il relatore - Giuseppe Flavio nel I secolo dopo Cristo. In alcuni casi paradossalmente sono state le stesse limitazioni imposte agli ebrei a fomentare come conseguenza pregiudizi: "Li si obbligava ad esercitare il prestito di denaro e li si accusava di avarizia; li si obbligava a vivere chiusi nel ghetto e poi li si accusava di essere vicini e solidali tra di loro". Diverse le forme di antiebraismo (di tipo religioso, razziale e politico), ma uguale, nell'analisi del docente, il pericolo che sottendono: "Al di là di considerazioni di carattere etico e morale, mi preoccupo di queste cose, perché storicamente l'odio verso gli ebrei è stato la cartina al tornasole della mentalità totalitaria all'interno di una società". Il giornalista Menachem Ganz, corrispondente del quotidiano israeliano Ma'ariv e collaboratore del Foglio, ha spiegato come sia vissuto oggi in Israele il ricordo della Shoah, "ferita ancora aperta" e diversa da altri massacri, perché avvenuta come "sterminio sistematico, che mirava all'eliminazione delle vittime del presente e del futuro". L'esclusione degli ebrei dalla vita sociale e poi dalla vita tout court era il fine delle leggi razziali, rievocate dalla testimonianza di Lucia Roditi Forneron, rifugiatasi da Milano in Svizzera durante l'ultimo periodo di guerra. Dal 1938, "non potevamo andare a scuola, lavorare in uffici pubblici, usare il telefono, pubblicare necrologi, avere una radio. Ci stavano lentamente cancellando dalla vita".

an.ans.

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